Con riluttanza il malato segue il piano di terapie che gli consentono di condurre una vita quasi normale per alcuni mesi, di vagare e osservare, di ricordare e scrivere con continuità, persino di nuotare qualche vasca in piscina e montare su pagina i pezzi di una vita. Nel testo che prende forma prima in vecchie agende intonse della banca e poi nel file del computer, meditazioni e frammenti di passato si alternano agli incontri e agli accadimenti del presente, finanche agli episodi di cronaca che riattivano tortuosi percorsi di memoria.
Che fare? Vivere o scrivere? Per il protagonista la scrittura diventa un’”interruzione della vita”, prima dell’interruzione definitiva che la medicina gli ha già prospettato. Eppure, proprio scrivendo, praticando questa “secolare prostituzione della scrittura”, così intrecciata all’umana gloria, succede qualcosa di inatteso: alcuni personaggi di questa narrazione, il custode e gli amici ritrovati al paesello, i conoscenti e la signora che talvolta lo raggiunge per un’iniezione, la madre e la sua morte misteriosa, quel che rimane del rapporto con Annelise e della corrispondenza di questa con il suocero, le frequentazioni amorose del suo passato iniziano a convergere verso una fine, anzi, verso la fine che ogni storia sempre pretende. E questa fine sarà a sua volta un’appendice, un’appendice di un’appendice, dove resta sospeso un pensiero dubbioso su quanto abbiamo iniziato a chiamare fine-vita e che per ora pare non avere un nome migliore.
Nella foto: Edmonton, Canada
Sembra interessante..
RispondiEliminaSi spera. Grazie
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